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sabato 26 luglio 2008

Un insegnante ogni tredici alunni

In Italia c'è un insegnante ogni tredici alunni. Detto così, fa impressione a chi non conosce il mondo della scuola; in realtà, essendo un dato medio, vale un po' pochino, è come la storiella del mezzo pollo a testa. Esistono insegnanti che lavorano solo con dieci alunni, ma sono pochissimi: gli altri (la maggioranza) hanno sessanta, novanta, perfino centoventi allievi, come nel mio caso. L'informazione è spesso superficiale, si limita alla notizia che fa colpo sull'opinione pubblica e non si addentra nello specifico, ma tutti i genitori sanno - o dovrebbero sapere - che la scuola è organizzata così; dalla prima media in poi in una classe subentrano decine di professori.

Non dico che sia un bene, però! Personalmente preferirei che i ragazzi fino a quindici anni avessero poche figure di riferimento, non più di cinque o sei, comunque mai una sola. Il rischio di plagio con i bambini è fortissimo; conosco maestre che vorrebbero essere le uniche insegnanti nella classe per avere più potere sugli alunni e sui genitori, per tenerli in pugno. Ovviamente quando si lavora in team ciò non è possibile, bisogna rapportarsi con le colleghe, mettere in discussione a volte anche i propri metodi o i contenuti dell'insegnamento, concordare strategie comuni...La mia impressione è che lo spirito di gruppo sia molto carente nella maggioranza dei maestri italiani, ecco perché molti invocano il docente unico almeno nelle elementari. E' certamente una soluzione di comodo per alcuni, ma non risponde alle esigenze degli studenti. Secondo me si tratta di una soluzione anacronistica; nella società in cui viviamo e con tutte le competenze che oggi si richiedono, tre maestre (o maestri, se ancora ci sono) possono gestire meglio una scolaresca composta da venticinque o più ragazzini vivacissimi e pieni di curiosità, bombardati da mille informazioni e stimoli. Oppure, se proprio si vuole la maestra unica perché si ritiene che tuteli meglio l'unitarietà del sapere, bisognerebbe innanzitutto selezionare insegnanti superpreparate che conoscano le materie in modo approfondito, compresi l'inglese e l'informatica, e assegnare a ciascuna non più di dieci scolari. E' realistico, nel momento in cui ci troviamo?

In ogni caso, sarebbe uno sbaglio enorme formare classi di trenta ragazzini, fra cui uno o più diversamente abili senza sostegno, affidandoli a una sola maestra di stampo tradizionale. Significherebbe fare non uno, ma cento passi indietro; non dimentichiamo che la scuola elementare di un tempo accoglieva trenta alunni ma era molto selettiva, bocciava senza appello, aveva un solo maestro ma meno ore, meno giorni di scuola e minori materie, gli alunni disabili stavano in istituti o classi differenziali... Ricordiamo bene questi particolari, perché non sono di poco conto!

domenica 13 luglio 2008

La maestra d'inglese: specialista o specializzata?

La lingua straniera nella scuola primaria, introdotta all'inizio degli anni novanta, è stata subito circondata da roventi polemiche. Da un lato c'era chi non accettava la nuova disciplina, ritenendola inutile o troppo difficile, dall'altro chi mal sopportava l'introduzione di una nuova insegnante per motivi più gretti, ad esempio perché si doveva aumentare il tempo scuola, portandolo da ventisette a trenta ore. Si criticava la figura della maestra specialista, ovvero dedita solo all'insegnamento della lingua in sei o sette classi, sostenendo che fosse didatticamente preferibile la maestra specializzata, cioè quella che insegna anche la lingua straniera oltre ad altre materie in una o due classi. Parlo al femminile perché mi viene spontaneo, data la stragrande maggioranza di colleghe nell'ambiente scolastico.
Nessuno però ha mai sollevato obiezioni all'insegnamento specialistico della religione cattolica, iniziato già negli anni ottanta.
Il ministro Moratti ha optato per la maestra d'inglese specializzata e dopo di lei anche Fioroni ha continuato l'opera. Quasi tutte le specialiste di lingua straniera sono state assorbite su posto comune; ormai ne sopravvivono pochissime in via d'estinzione, ed io sono fra queste. Sono vicina al pensionamento e spero tanto di arrivarci.
Che dire? Ho sopportato di tutto, sono rassegnata. Non mi si dica però che è stata una scelta di carattere didattico...Perché, contemporaneamente, è avvenuta l'assunzione in ruolo di 14.000 docenti specialisti di religione, i quali possono addirittura insegnare l'inglese - avendone titolo - a completamento d'orario...Ma non dicevano che l'insegnamento specialistico era da abolire?
Noi maestre d'inglese abbiamo sempre ricevuto trattamenti bizzarri e nessuno, di fatto, ci ha mai difese.
Prima di tutto ci hanno invogliate a lasciare la nostra classe o modulo per diventare specialiste: non è stato come bere un biccchier d'acqua, abbiamo dovuto frequentare lunghi corsi tutti in presenza, spesso affrontando viaggi di molti chilometri (120 nel mio caso).
Ai corsi si veniva ammessi tramite un esame selettivo; si partiva da 100 ore (per le laureate o madrelingua), 150 per chi aveva ottime basi scolastiche, 300 per chi le aveva buone, 500 per chi non aveva studiato l'inglese a scuola. Quei corsi costavano parecchio e così ben presto sono stati aboliti: bastava superare un esame in sede di concorso magistrale. Molte ragazze sono entrate in ruolo proprio grazie al punteggio ottenuto con quell'esame d'inglese o francese, in quanto dava la precedenza rispetto alle candidate sprovviste di titolo.
Per convincerci ulteriormente a lasciare la nostra classe, all'inizio ci hanno promesso un punteggio aggiuntivo che poi ci è stato prontamente tolto. Quante polemiche anche per questo! Non si trattava di un punteggio raddoppiato, come nelle scuole di montagna, eppure le critiche fioccavano da ogni parte: non è giusto, non è giusto... Il doppio punteggio per le scuole di montagna, invece, non è stato mai tolto a nessuno!
Ci hanno costretto a fare supplenze nelle ore di compresenza; d'accordo, siamo insegnanti come le nostre colleghe, ma non abbiamo la pratica quotidiana delle altre materie come loro, perciò dovremmo essere utilizzate diversamente. Si potrebbe obiettare che comunque siamo state abilitate a insegnare tutto. Bene, allora spiegateci perché facciamo parte dell'organico d' istituto, però su posto speciale...in pratica, se vogliamo ritornare a fare le maestre "normali", dobbiamo ...chiedere il trasferimento, come le maestre di sostegno! Per le supplenze, invece, andiamo sempre bene!
Ancora: il nostro orario è stato modificato varie volte, ma non certo per motivi di ordine didattico. Siamo le tappabuchi della scuola. La nostra presenza è necessaria per coprire l'insegnante prevalente nel suo giorno libero o nelle uscite anticipate.
Il fondo l'abbiamo toccato quando è stato introdotto l'inglese anche in prima e in seconda...E' molto faticoso gestire più di cento alunni di varie età, dai cinque agli undici anni e con esigenze diverse, perché la lingua straniera è una materia particolare. 
E poi, con una sola ora settimanale in prima, magari coincidente con l'intervallo, è davvero assurdo, non si ottiene niente...in seconda, abbiamo solo due ore e finisce che  ci vengono assegnate in una sola giornata, sempre per favorire l'orario, ma non certo i bambini.
Anzi, la Moratti inizialmente avrebbe voluto due ore in tutte le classi, eccetto la prima. Insomma, l'inglese è importante oppure no? Le "tre I" erano uno slogan a effetto, oppure sottintendevano qualcosa di valido?
Dopo tanto calvario, adesso non serviamo più.
Perché vi racconto questi particolari? Non intendo certo annoiarvi; voglio solo farvi sapere che tipo di decisioni vengono prese sulla pelle dei docenti e degli studenti. E' istruttivo ed educativo anche questo. Quando vi parleranno di riconoscimento del merito, avrete qualche motivo in più per riflettere.

L'antipolitica

In alcuni post avrò dato l'impressione di avercela con la politica in genere. Non sono affetta da grillite, anche se Beppe, in molte cose che dice, ha ragione da vendere; penso che i politici svolgano un compito importantissimo e siano insostituibili per determinate decisioni, ma non per tutte.

La politica può effettivamente cambiare le sorti di una nazione – lo vediamo dai fatti recenti - e dare una svolta decisiva a un paese in campo economico e sociale. I buoni governanti lasciano il segno, purtroppo però anche quelli cattivi...

Credo che i più gravi problemi della scuola italiana dipendano in gran parte da riforme mal condotte e ingerenza eccessiva della politica. Anche se all'estero non stanno molto meglio.

Tutti i governi della nostra Repubblica hanno cercato di plasmare la scuola pubblica secondo il loro modello ideologico, nella convinzione di compiere un'opera meritoria per la società. Il punto è: finora ci sono riusciti? Sono stati in grado di migliorare l'istruzione e l'educazione dei giovani, influendo beneficamente sul futuro economico e lavorativo di intere generazioni? Giudica tu.

In ogni riforma ci sono aspetti accettabili, almeno sulla carta; in seguito, passando all'attuazione, emergono le difficoltà e le contraddizioni che a tavolino non si possono notare. A quel punto nessuno è capace né si preoccupa di porvi rimedio: la macchina procede come uno schiacciasassi finché non arriva il governo successivo che blocca tutto e riparte da capo, o peggio ancora cerca di salvare il pasticcio precedente con rattoppi alla buona.

In tutti i provvedimenti scolastici, poi, c'è un lato molto spregevole: il tentativo di accaparrarsi voti con proposte populistiche e offerte di posti di lavoro. Questo è sempre successo e sempre succederà.

Dirai: in fondo, che male c'è a sistemare i parenti e gli amici, avendone il potere? E' quell' “in fondo” che mi fa riflettere. Siamo sempre pronti a giustificare tutto e tutti con l'espressione “in fondo”...L'istruzione e la salute sono troppo importanti per cavarsela con un “in fondo”. Se si limitassero a raccomandare soltanto persone capaci e preparate, se sistemassero la gente inetta in qualche ufficio, tra faldoni e scartoffie, poco male... ma sulla cultura e sulla pelle delle persone non si scherza!

Ecco perché penso che i politici non dovrebbero amministrare l'Istruzione. In quel settore è necessaria la supervisione di un comitato esterno, formato da pedagogisti esperti di provata fama nel campo, esponenti della cultura e dell'economia, saggi, persone stimate e appartenenti a diversi orientamenti di pensiero. Oggi più che mai dobbiamo dare importanza al settore dell'istruzione perché è la nostra principale risorsa. Paesi come l'Irlanda o la Finlandia in questo sono stati più attenti e veloci di noi ed hanno dato una svolta fondamentale alle loro politiche scolastiche. Noi italiani invece siamo presi da altri problemi, o forse pensiamo di avere molto tempo a disposizione.

mercoledì 9 luglio 2008

Tante domande e qualche risposta, secondo me

Ciao! Benvenuti nel mio blog dedicato - guarda che fantasia - ai problemi scolastici. Sarà perché faccio la maestra da trent’anni e prima ancora ero una studentessa, ma la scuola ce l’ho nel sangue. Passando attraverso varie epoche ricordo ancora la vecchia elementare con la maestra unica, il pennino e il calamaio; nel frattempo l’Italia è cambiata tantissimo e la scuola pure, ma non uniformemente in tutti gli ordini e i gradi.

Nella società attuale, che importanza ha ancora la scuola?
Un’importanza enorme, come in tutte le società del passato. Molti sostengono che ormai per i giovani ci siano altre fonti di apprendimento e di educazione molto più efficaci, in particolare i mass media. Non sono affatto d’accordo. La tendenza a considerare la scuola solo un parcheggio, o un pedaggio scomodo secondo i punti di vista, è la causa principale del degrado a cui assistiamo da troppo tempo senza reagire. Molti insegnanti e genitori sono al corrente dei guasti materiali e morali che emergono ovunque, eppure pochi si lamentano o cercano di lottare, come se fossero rassegnati all’andazzo generale…

Dove sta andando la scuola?
Probabilmente dove doveva andare e lo dico senza mezzi termini. Semplicemente ha continuato per la sua strada ignorando i segnali che da anni e anni le venivano mandati. Qualcuno si ricorda del famoso ‘68? Posso ben dire: “Io c’ero” perché in quel periodo frequentavo il liceo. Come molti altri ragazzi e ragazze, all’epoca sognavo una scuola moderna, accogliente, attenta ai nostri problemi e alle nostre esigenze. Che illusione! Qualcosa per la verità è cambiato: va tutto peggio. Si dirà che esistono docenti meravigliosi, scuole all’avanguardia, poli di eccellenza, ecc. ecc. ed è vero. Complimenti e applausi a tutti loro per i miracoli che riescono a fare, però dobbiamo considerare il livello medio che costituisce la vera ossatura della scuola italiana e quello purtroppo, secondo il mio sommesso ma non unico parere, lascia molto a desiderare.

La scuola primaria almeno funziona bene?

Sembra proprio di sì. La spiegazione è abbastanza semplice…anzi, elementare, direi, se mi perdonate la battuta! Tutti i governi che si sono succeduti dai lontani ‘70 hanno profuso consistenti risorse economiche e umane nell’innovazione partendo sempre da lì, nel bene e nel male. Il primo grado dell’istruzione quindi si è dovuto evolvere per forza cercando di stare al passo coi tempi. E poi - bisogna dirlo - le tanto deprecate maestre si sono sempre impegnate anima e corpo nelle varie riforme proposte, sopportando ore ed ore di aggiornamenti gravosi e talvolta aderendo a sperimentazioni al limite dell’assurdo. C’è stato dialogo, confronto, anche qualche scontro ma i risultati alla fine si sono visti; naturalmente ci sarebbe molto da discutere e da correggere, ma in sostanza possiamo dire che la vecchia signora ex elementare si regge ancora in piedi e si difende con grinta. Dei suoi problemi parleremo poi in modo approfondito.

La secondaria superiore invece sembra in crisi, come mai?

I professori sono diffidenti riguardo ai cambiamenti e non amano modificare i propri metodi ormai collaudati. Potremmo anche dargli ragione, se non fosse per due piccoli particolari: la scuola dell’obbligo e la nuova media unificata, vigente dal ‘63 in tutto il territorio nazionale, hanno comportato uno stravolgimento titanico dell’istruzione pubblica.
Parrebbe logico che, riformata la scuola di base, dovesse cambiare anche la secondaria superiore, invece no. Lì non si sono viste riforme significative; i programmi ricalcano più o meno quelli di sessant’anni fa, mentre gli alunni sono ben diversi. Proprio grazie a quella riforma molti figli di contadini e operai hanno avuto accesso ai licei e all’università, in precedenza preclusi alla maggior parte di loro. Fino agli anni cinquanta chi non sapeva leggere veniva bocciato all’esamino di seconda classe e difficilmente arrivava in quinta o era ammesso all’esame di licenza elementare; per accedere alla media poi si doveva superare un altro esame e così via, una selezione dopo l’altra. Logicamente in quel sistema i figli della borghesia risultavano avvantaggiati, non perché fossero più intelligenti, ma per i maggiori stimoli culturali che ricevevano dalla famiglia. La scuola selettiva inoltre permetteva ai professori di svolgere un programma standard, valido in qualsiasi istituto statale, dalle Alpi all’Etna, senza sostanziali differenze e senza adattamenti particolari: chi riusciva ad andare avanti, bene, chi non ce la faceva era più o meno delicatamente invitato a cambiare strada, a trovarsi un mestiere. Il diploma di maturità aveva un bel valore, ottenerlo costava tanti sacrifici e non era per tutti. Da almeno quarantacinque anni non è più così! Possiamo lamentarci e disapprovarlo, ma è un dato reale e negarlo non serve a niente. La scuola non procede più in maniera selettiva; dobbiamo adattare i nostri programmi e metodi alle diverse intelligenze (il riferimento a Howard Gardner non è casuale!) dei nostri alunni. In questa prospettiva insegnare è diventato uno dei mestieri più difficili e logoranti dal punto di vista psichico. Al docente non basta conoscere a menadito la disciplina che insegna, deve anche saperla insegnare a ragazzi dotati di varie capacità e interessi, sempre meno motivati a studiare perché ormai il titolo di studio non garantisce niente. Sono finiti i tempi in cui si andava alle superiori per farsi una bella posizione, per trovare il classico buon “posto” da impiegato, ragioniere, geometra, maestro. Oggi neanche con una laurea c’è la carriera garantita. Si studia soprattutto per apprendere, ma cosa? Forse come vivere, come stare in società, come lavorare? Non proprio. Basta scorrere i programmi e i contenuti: il tema principale è, ancora e sempre, il passato: come si parlava duemila anni fa, come si viveva nel medioevo, come si scriveva nel secolo scorso, a volte con una meticolosità incredibile e uno spreco irragionevole di tempo e di risorse, mentre del presente c’è ben poco. I secchioni (o piombini) naturalmente studiano qualsiasi cosa per il puro gusto di studiare e di sentirsi dire bravi, anche se oggi questo è un rischio, ma la maggior parte dei giovani non riesce più a trovare interesse per ciò che deve apprendere. Immaginiamo un ragazzo di famiglia disagiata, con i genitori separati o disoccupati, carico di problemi esistenziali tra cui la droga, costretto a imparare la Divina Commedia, l’Eneide o il teorema d’Euclide: dovrà fare uno sforzo tremendo e altrettanto il suo insegnante per trasmettergli quelle nozioni. La lezioncina di latino o greco che ascoltavamo in quarta ginnasiale oggi è un’autentica botta di veleno soporifero per ragazzi che pensano a ” L’ isola dei famosi” e a quanti sms hanno ricevuto negli ultimi secondi. Ce ne rendiamo conto, oppure vogliamo continuare a chiudere gli occhi e le orecchie? Si è creato un divario enorme tra il mondo reale, la società che abbiamo davanti con tutte le sue novità, le contraddizioni, le aberrazioni e, dall’altro lato, una cultura scolastica basata come sempre sull’apprendimento teorico e mnemonico, quasi compiaciuta di bastare a se stessa. I programmi mastodontici, i libri sempre più pesanti, gli orari incalzanti per poter fare sempre di più nella mattinata (esistono scuole con sei ore di lezione consecutive!) dimostrano solo una folle perseveranza nel voler proseguire sulla vecchia pessima strada, già malandata e impraticabile nel lontano ‘68. Credo che sia assolutamente urgente una seria riforma della scuola secondaria inferiore e superiore.

Perché non torniamo alla scuola tradizionale che almeno dava buoni risultati?

I buoni risultati si ottenevano, è vero, ma andavano bene per quei tempi. Oggi si richiede altro. Gli esercizi di calligrafia, la copia dal vero, la conoscenza del latino e del greco, i temi d’italiano e le lunghe pagine imparate a memoria concorrevano a formare il bagaglio culturale medio necessario all’epoca. Oggi nessuna persona può lavorare in campo impiegatizio se non conosce un minimo d’inglese e se non sa usare il computer almeno a livello pratico; gli svolazzi calligrafici non interessano a nessuno e la pittura sta diventando digitale. La maggior parte dei mestieri tradizionali purtroppo è in via di estinzione - se non estinta del tutto - e ne nasce uno nuovo al giorno, quindi che senso avrebbe tornare ai metodi di un secolo fa? Se poi qualcuno rimpiange la scuola elitaria, classista e selettiva, prima consideri quante persone della sua stessa famiglia, con quel sistema, oggi sarebbero costrette a lavorare nei campi o in un cantiere, al posto degli extracomunitari. La soluzione più saggia non si trova guardando indietro, ma avanti: è meglio correggere la rotta sbagliata anziché regredire al punto di partenza.

Tutti possono diventare insegnanti. O no?
Assolutamente no, secondo me. Insegnare è una professione durissima, non alla portata di tutti. Mia nonna diceva in tedesco che nessuno scende dal cielo già maestro: certo un mestiere s’impara, la competenza si può acquisire, malgrado ciò per insegnare occorre qualcosa di più. Io dico che ci vuole un insieme di doti naturali da sviluppare con adeguati studi e molta esperienza. Se manca la stoffa adatta, non si può fare un certo tipo di vestito… Tanto per fare un esempio, nessuno userebbe l’organza di seta per una tuta da ginnastica, o il loden per un abito da sposa. La stoffa poi dev’essere tagliata e cucita bene, seguendo il modello giusto. Un professore autoritario, nervoso, impaziente e poco obiettivo potrà anche essere un pozzo di scienza, ma risulterà un pessimo insegnante. Sarà scarsamente incisivo sulla formazione culturale dei suoi alunni - difatti non impareranno gran che - mentre invece avrà molta influenza sul loro carattere e sulla loro personalità, però in senso negativo.
Non ci nascondiamo che in un passato recente la carriera scolastica era l’approdo preferito di chi non sapeva che altro fare, un refugium peccatorum piuttosto comodo e risolutivo in tanti casi disperati. Molte assunzioni avvenivano per vie clientelari, con una forte pressione e ingerenza dei partiti di volta in volta al governo. Purtroppo chi sa di dovere la sua “sistemazione” soltanto alla raccomandazione sicuramente ha abdicato alla libertà e all’autonomia di pensiero, mancanza gravissima per un docente che dovrebbe non solo difenderle con orgoglio, ma addirittura averle nel proprio patrimonio genetico per poterle trasmettere agli allievi.
Scusate, che cosa insegniamo ogni giorno, a parte i contenuti pletorici dei libri? Continuiamo a ripetere come robot che le opinioni non sono in vendita al miglior offerente, che nella vita non contano solo i soldi, che i disabili (anzi, i diversamente abili) hanno gli stessi nostri diritti, tutti uguali e tutti diversi, grasso è bello, donna è bello, l’ età non conta, la vera bellezza è dentro e non fuori, il fumo uccide, il lavoro nobilita e tanti, tanti altri “bla bla” più o meno retorici. Ma il nostro comportamento è contraddittorio. I ragazzi ci guardano e giudicano i fatti. Per loro l’esempio conta più di mille parole. La coerenza ci rende degni del loro rispetto, invece le bugie e le varie ipocrisie quotidiane ci allontanano da loro irreparabilmente.

Che cosa fanno i professori?
A giudicare dai video di YouTube, un po’ di tutto, perlomeno nelle superiori. La scuola pazza ormai è cronaca quotidiana. Ci sono prof schizzati, disperati, arresi, imbottiti di antidepressivi o tranquillanti. Ci sono quelli proprio fusi che imitano John Travolta, ballano, cantano, urlano, si travestono, si svestono o si fanno la canna mentre i ragazzi li riprendono col cellulare (sarebbero proibiti ma intanto, chissà come, ce li hanno sempre in tasca) per poi esporli nel web al ludibrio generale. A volte si tratta di scemenze costruite ad hoc, per esibizionismo; a volte invece è l’unica arma in mano agli studenti per denunciare una situazione tremenda che altri preferiscono ignorare (come appunto fa lo struzzo). Sono sicura che molti insegnanti svolgono egregiamente il loro compito. Sono eroi o martiri, secondo i punti di vista. Sarebbero straordinari in qualsiasi situazione, anche nella peggiore scuola del peggior quartiere periferico. Gli altri, quelli un po’ meno santi e meno vocati di Madre Teresa di Calcutta, purtroppo non ce la fanno… Ne vogliamo prendere atto? Se preferiamo, possiamo pure continuare a negare i problemi, dando la colpa a quelle carogne e sobillatori dei giornalisti.

La scuola però non guarirà da sola, questo è certo, e non basteranno le lettere del ministero. Il tempo delle chiacchiere ormai è finito da un pezzo. Non voglio condannare nessuno. O meglio, qualcuno lo condannerei: chi ha messo in cattedra persone impreparate, chi lascia la scuola in condizioni pietose e i docenti al massacro. Non si può ridurre l’ istruzione a un mercato, anteponendo i propri vantaggi al bene di tutta una generazione e di quelle future. La preparazione dei docenti e il successivo reclutamento devono essere molto accurati. Dimentichiamo la procedura scarna dei vecchi concorsi, con il tema e l’interrogazione in pedagogia; non serve neppure la graduatoria dei precari che premia come al solito i più forniti di punti (leggi i meglio ammanicati) e li manda in cattedra senza selezione. Non è così che si devono assumere i professori. E dopo averli scelti bene, bisogna anche farli lavorare…Bisogna metterli in grado d’insegnare dignitosamente, in un ambiente decente, dove il rispetto delle regole sia la norma e non l’eccezione. Sono scelte che costano, è naturale. E non parliamo sempre e soltanto del costo economico! Quanti soldi vengono sprecati in progetti dai dubbi fini e dai meno chiari risultati, mentre manca il materiale necessario al normale andamento didattico…Perciò credo che la pubblica istruzione non dovrebbe essere amministrata dai partiti al governo, ma da un consiglio indipendente formato da esperti e saggi con un duplice incarico: riformare seriamente la scuola e investire meglio il denaro dei contribuenti.

Considerata l’odierna situazione della politica e della cultura, temo però che nessuno vorrà assumersi responsabilità in campo scolastico. I prossimi governi cercheranno - come i loro predecessori - di applicare qualche palliativo più o meno popolare, senza risolvere i problemi di fondo.

La scuola italiana non è diventata meno autorevole perché alle elementari ci sono più maestri invece di uno. Ha perso dignità per motivi più seri: perché i titoli di studio sono sviliti, ormai valgono pochissimo, non garantiscono un lavoro e neppure l'istruzione. La legge obbliga a frequentare una scuola più o meno identica nei metodi e nei contenuti, anche chi è negato per lo studio e non ha il minimo interesse per la cultura. Certo, non era giusto che i figli dei poveracci andassero a fare i camerieri e i contadini a dieci anni e che solo i borghesi potessero laurearsi. C'era un classismo immorale che andava senz'altro eliminato, ma non lo si doveva sostituire con l'opposto.

Il vero scopo della riforma concepita all'inizio degli anni sessanta doveva essere diffondere maggiormente la cultura promuovendo il progresso del popolo italiano, non regalare a tutti un titolo di studio fasullo per riscuotere facile consenso e tantomeno mandare masse di giovani all'università senza una preparazione valida e senza speranza di potersi poi collocare nel mondo professionale, avendo distrutto dall'altro lato l'artigianato e i mestieri.

Come al solito nel nostro paese le riforme si studiano molto a tavolino, ma dal momento dell'attuazione vengono abbandonate a se stesse, senza più controllo. I risultati li vediamo col tempo. Quando finalmente appare chiaro a tutti che una riforma ha prodotto lo sfascio, invece di fare il mea culpa si accusano gli avversari politici di ostruzionismo, si tira in campo la sfortuna, il popolo che non capisce e via dicendo; nessuno pensa di porvi rimedio in maniera decisa, ma si applicano alcune toppe che quasi sempre peggiorano la situazione.

Governare uno stato è difficile, roba da non dormire la notte; non basta la creatività, ci vuole metodo e testa, serve anche l'umiltà di chiedere a chi è competente in merito opinioni e consigli. Invece cittadini esperti e autorevoli sono stati ignorati dai partiti politici, preoccupati solo di manovrare per ottenere consenso elettorale.

Siamo arrivati alla stagione del raccolto.

Il tormentone della maestra unica

Ricomincia il tormentone della maestra unica. Da trent' anni a questa parte, sembra che tutti i guai della scuola italiana risiedano nell'organizzazione della primaria (ex elementare). Non c'è ministro che, appena insediato, non proponga subito la sua formula magica! Viene da malignare che sia perché i maestri - dovrei dire le maestre, data la stragrande maggioranza di personale femminile - sono sempre pronti a recepire e adottare ogni novità che arriva da Roma, mentre i professori in genere si dimostrano molto meno teneri nei confronti delle riforme.

Anche il nuovo ministro Gelmini non smentisce la fama dei suoi predecessori Fioroni, Moratti, De Mauro, ecc.

Si parla di quasi 100.000 posti d'insegnamento in meno, oltre a una consistente riduzione del personale Ata. Lo slogan esaltante è: "meno insegnanti, ma pagati meglio". Non solo: più alunni per classe, meno materie nelle superiori (tanto non servono...)

Nella primaria, forse ritorneremo a una sola maestra (o maestro, ma i maschietti sono così pochi ). In base a quale logica? Ragionieristica, credo, perché non potrei vederne altra.

Stando ai risultati delle ultime rilevazioni Ocse-Pisa, la scuola primaria italiana regge bene il confronto con altri paesi europei, perché i nostri alunni si qualificano mediamente in buone posizioni (anche se con risultati variabili a livello regionale). Ciò dimostra che avere più insegnanti per classe non è nocivo, come alcuni sostengono. L'abolizione del maestro unico sostituito da un team (o équipe), iniziata negli anni ottanta, non ha portato problemi ai bambini, semmai ad una parte di genitori e docenti che rimpiangono la scuola tradizionale.

Anch'io ho avuto una sola maestra; la ricordo sempre elegante nel suo grembiule di raso nero con il colletto di pizzo, distinta e severa dall'alto della cattedra; ricordo con commozione l'odore dei banchi di legno massiccio incerato, i quaderni con la copertina nera, lo scricchiolio del pennino sul foglio, il gorgoglìo dell'inchiostro che i bidelli versavano nei calamai, piano piano come fanno gli inglesi con il tè. Eravamo trenta, trentuno bambine educatissime, non si sentiva mai alzare la voce...la parola della maestra per noi era legge. Ogni mattina dall'altoparlante provenivano musiche edificanti, come l'Ave Maria cantata da Beniamino Gigli, seguite puntualmente dal saluto del direttore. Non ricordo che mancasse mai il gesso o che ci fosse un campanello rotto; le finestre avevano le tende parasole e i bidelli non passavano il tempo leggendo il giornale o pettegolando, pulivano sempre, addirittura passavano i corridoi soltanto con la segatura umida per non farci scivolare. Andare in direzione a mostrare un compito ben fatto e prendere "visto e lode", con il timbro e la firma del direttore, significava salire al settimo cielo.

Adesso però sono cosciente che una scuola del genere non può esistere. Appartiene davvero al passato remoto.

Prima di tutto i ragazzini d'oggi sono molto diversi da quelli di vent'anni fa: una mamma fatica a tenere calmi due figli, figurarsi cosa succede mettendone trenta insieme! I bambini d'oggi alla maestra danno del tu, p er non dire altro... Pretendere che un insegnante da solo possa tenere sotto controllo e istruire una classe di trenta e più alunni con tutto quello che oggi si richiede, dall'italiano all'inglese all'informatica e quant'altro, significa non capire niente di didattica oppure agire in malafede per voler rovinare la scuola pubblica.


giovedì 3 luglio 2008

I have a dream

La scuola che sogno e ho sempre sognato non esiste. Lo so, ma non importa, continuo a credere che un giorno ci sarà ed è così che la vorrei:
- Una struttura decente, spaziosa, ben attrezzata, senza muri che si sgretolano, rubinetti rotti e porte bucate.
- Una comunità accogliente, dove non si litiga e non si grida, tanto non ce n'è bisogno, perché tutti si rispettano tra loro.
- Una scuola che non conosce la noia, lo spreco di tempo, il lavoro insensato.
- Un mondo in cui tutti possono esprimere le discutere liberamente le proprie idee, anche quelle non gradite alla maggioranza o non politically correct, senza essere aggrediti o derisi.
- Un ambiente laico, com'è o come dovrebbe essere lo stato, dove non si esibiscono le proprie credenze religiose per condannare o mortificare chi ne ha di diverse, oppure ne è privo.
- Un mondo indipendente dalle influenze della politica, molto attento a ciò che succede nella società, ma interessato prima di tutto alla cultura, al benessere e alla crescita fisica e morale dei ragazzi.
- Una scuola che aiuta, sostiene ed offre a ciascuno le giuste opportunità, non sempre il meglio ai soliti quattro privilegiati, ma neppure il peggio a
tutti quanti.
- Una scuola che ha dignità e rispetto per se stessa e quindi non si squalifica. Chi non sa abbastanza o non ha voglia di migliorare non può pretendere voti alti e titoli immeritati, senza musi lunghi né ricatti.
- Un posto dove chi è bravo deve ottenere il giusto apprezzamento, senza suscitare invidia e rifiuto, mentre chi non lo è dev'essere incoraggiato ad accettare i propri limiti, senza drammi né falsi pietismi.
- Un ambiente che ha sempre interesse a progredire e non si chiude in un guscio per difendersi dal cambiamento.
Con affetto
Maestra Adriana