Nella società attuale, che importanza ha ancora la scuola?
Un’importanza enorme, come in tutte le società del passato. Molti sostengono che ormai per i giovani ci siano altre fonti di apprendimento e di educazione molto più efficaci, in particolare i mass media. Non sono affatto d’accordo. La tendenza a considerare la scuola solo un parcheggio, o un pedaggio scomodo secondo i punti di vista, è la causa principale del degrado a cui assistiamo da troppo tempo senza reagire. Molti insegnanti e genitori sono al corrente dei guasti materiali e morali che emergono ovunque, eppure pochi si lamentano o cercano di lottare, come se fossero rassegnati all’andazzo generale…
Dove sta andando la scuola?
Probabilmente dove doveva andare e lo dico senza mezzi termini. Semplicemente ha continuato per la sua strada ignorando i segnali che da anni e anni le venivano mandati. Qualcuno si ricorda del famoso ‘68? Posso ben dire: “Io c’ero” perché in quel periodo frequentavo il liceo. Come molti altri ragazzi e ragazze, all’epoca sognavo una scuola moderna, accogliente, attenta ai nostri problemi e alle nostre esigenze. Che illusione! Qualcosa per la verità è cambiato: va tutto peggio. Si dirà che esistono docenti meravigliosi, scuole all’avanguardia, poli di eccellenza, ecc. ecc. ed è vero. Complimenti e applausi a tutti loro per i miracoli che riescono a fare, però dobbiamo considerare il livello medio che costituisce la vera ossatura della scuola italiana e quello purtroppo, secondo il mio sommesso ma non unico parere, lascia molto a desiderare.
La scuola primaria almeno funziona bene?
Sembra proprio di sì. La spiegazione è abbastanza semplice…anzi, elementare, direi, se mi perdonate la battuta! Tutti i governi che si sono succeduti dai lontani ‘70 hanno profuso consistenti risorse economiche e umane nell’innovazione partendo sempre da lì, nel bene e nel male. Il primo grado dell’istruzione quindi si è dovuto evolvere per forza cercando di stare al passo coi tempi. E poi - bisogna dirlo - le tanto deprecate maestre si sono sempre impegnate anima e corpo nelle varie riforme proposte, sopportando ore ed ore di aggiornamenti gravosi e talvolta aderendo a sperimentazioni al limite dell’assurdo. C’è stato dialogo, confronto, anche qualche scontro ma i risultati alla fine si sono visti; naturalmente ci sarebbe molto da discutere e da correggere, ma in sostanza possiamo dire che la vecchia signora ex elementare si regge ancora in piedi e si difende con grinta. Dei suoi problemi parleremo poi in modo approfondito.
La secondaria superiore invece sembra in crisi, come mai?
I professori sono diffidenti riguardo ai cambiamenti e non amano modificare i propri metodi ormai collaudati. Potremmo anche dargli ragione, se non fosse per due piccoli particolari: la scuola dell’obbligo e la nuova media unificata, vigente dal ‘63 in tutto il territorio nazionale, hanno comportato uno stravolgimento titanico dell’istruzione pubblica.
Parrebbe logico che, riformata la scuola di base, dovesse cambiare anche la secondaria superiore, invece no. Lì non si sono viste riforme significative; i programmi ricalcano più o meno quelli di sessant’anni fa, mentre gli alunni sono ben diversi. Proprio grazie a quella riforma molti figli di contadini e operai hanno avuto accesso ai licei e all’università, in precedenza preclusi alla maggior parte di loro. Fino agli anni cinquanta chi non sapeva leggere veniva bocciato all’esamino di seconda classe e difficilmente arrivava in quinta o era ammesso all’esame di licenza elementare; per accedere alla media poi si doveva superare un altro esame e così via, una selezione dopo l’altra. Logicamente in quel sistema i figli della borghesia risultavano avvantaggiati, non perché fossero più intelligenti, ma per i maggiori stimoli culturali che ricevevano dalla famiglia. La scuola selettiva inoltre permetteva ai professori di svolgere un programma standard, valido in qualsiasi istituto statale, dalle Alpi all’Etna, senza sostanziali differenze e senza adattamenti particolari: chi riusciva ad andare avanti, bene, chi non ce la faceva era più o meno delicatamente invitato a cambiare strada, a trovarsi un mestiere. Il diploma di maturità aveva un bel valore, ottenerlo costava tanti sacrifici e non era per tutti. Da almeno quarantacinque anni non è più così! Possiamo lamentarci e disapprovarlo, ma è un dato reale e negarlo non serve a niente. La scuola non procede più in maniera selettiva; dobbiamo adattare i nostri programmi e metodi alle diverse intelligenze (il riferimento a Howard Gardner non è casuale!) dei nostri alunni. In questa prospettiva insegnare è diventato uno dei mestieri più difficili e logoranti dal punto di vista psichico. Al docente non basta conoscere a menadito la disciplina che insegna, deve anche saperla insegnare a ragazzi dotati di varie capacità e interessi, sempre meno motivati a studiare perché ormai il titolo di studio non garantisce niente. Sono finiti i tempi in cui si andava alle superiori per farsi una bella posizione, per trovare il classico buon “posto” da impiegato, ragioniere, geometra, maestro. Oggi neanche con una laurea c’è la carriera garantita. Si studia soprattutto per apprendere, ma cosa? Forse come vivere, come stare in società, come lavorare? Non proprio. Basta scorrere i programmi e i contenuti: il tema principale è, ancora e sempre, il passato: come si parlava duemila anni fa, come si viveva nel medioevo, come si scriveva nel secolo scorso, a volte con una meticolosità incredibile e uno spreco irragionevole di tempo e di risorse, mentre del presente c’è ben poco. I secchioni (o piombini) naturalmente studiano qualsiasi cosa per il puro gusto di studiare e di sentirsi dire bravi, anche se oggi questo è un rischio, ma la maggior parte dei giovani non riesce più a trovare interesse per ciò che deve apprendere. Immaginiamo un ragazzo di famiglia disagiata, con i genitori separati o disoccupati, carico di problemi esistenziali tra cui la droga, costretto a imparare
Perché non torniamo alla scuola tradizionale che almeno dava buoni risultati?
I buoni risultati si ottenevano, è vero, ma andavano bene per quei tempi. Oggi si richiede altro. Gli esercizi di calligrafia, la copia dal vero, la conoscenza del latino e del greco, i temi d’italiano e le lunghe pagine imparate a memoria concorrevano a formare il bagaglio culturale medio necessario all’epoca. Oggi nessuna persona può lavorare in campo impiegatizio se non conosce un minimo d’inglese e se non sa usare il computer almeno a livello pratico; gli svolazzi calligrafici non interessano a nessuno e la pittura sta diventando digitale. La maggior parte dei mestieri tradizionali purtroppo è in via di estinzione - se non estinta del tutto - e ne nasce uno nuovo al giorno, quindi che senso avrebbe tornare ai metodi di un secolo fa? Se poi qualcuno rimpiange la scuola elitaria, classista e selettiva, prima consideri quante persone della sua stessa famiglia, con quel sistema, oggi sarebbero costrette a lavorare nei campi o in un cantiere, al posto degli extracomunitari. La soluzione più saggia non si trova guardando indietro, ma avanti: è meglio correggere la rotta sbagliata anziché regredire al punto di partenza.
Tutti possono diventare insegnanti. O no?
Assolutamente no, secondo me. Insegnare è una professione durissima, non alla portata di tutti. Mia nonna diceva in tedesco che nessuno scende dal cielo già maestro: certo un mestiere s’impara, la competenza si può acquisire, malgrado ciò per insegnare occorre qualcosa di più. Io dico che ci vuole un insieme di doti naturali da sviluppare con adeguati studi e molta esperienza. Se manca la stoffa adatta, non si può fare un certo tipo di vestito… Tanto per fare un esempio, nessuno userebbe l’organza di seta per una tuta da ginnastica, o il loden per un abito da sposa. La stoffa poi dev’essere tagliata e cucita bene, seguendo il modello giusto. Un professore autoritario, nervoso, impaziente e poco obiettivo potrà anche essere un pozzo di scienza, ma risulterà un pessimo insegnante. Sarà scarsamente incisivo sulla formazione culturale dei suoi alunni - difatti non impareranno gran che - mentre invece avrà molta influenza sul loro carattere e sulla loro personalità, però in senso negativo.
Non ci nascondiamo che in un passato recente la carriera scolastica era l’approdo preferito di chi non sapeva che altro fare, un refugium peccatorum piuttosto comodo e risolutivo in tanti casi disperati. Molte assunzioni avvenivano per vie clientelari, con una forte pressione e ingerenza dei partiti di volta in volta al governo. Purtroppo chi sa di dovere la sua “sistemazione” soltanto alla raccomandazione sicuramente ha abdicato alla libertà e all’autonomia di pensiero, mancanza gravissima per un docente che dovrebbe non solo difenderle con orgoglio, ma addirittura averle nel proprio patrimonio genetico per poterle trasmettere agli allievi.
Scusate, che cosa insegniamo ogni giorno, a parte i contenuti pletorici dei libri? Continuiamo a ripetere come robot che le opinioni non sono in vendita al miglior offerente, che nella vita non contano solo i soldi, che i disabili (anzi, i diversamente abili) hanno gli stessi nostri diritti, tutti uguali e tutti diversi, grasso è bello, donna è bello, l’ età non conta, la vera bellezza è dentro e non fuori, il fumo uccide, il lavoro nobilita e tanti, tanti altri “bla bla” più o meno retorici. Ma il nostro comportamento è contraddittorio. I ragazzi ci guardano e giudicano i fatti. Per loro l’esempio conta più di mille parole. La coerenza ci rende degni del loro rispetto, invece le bugie e le varie ipocrisie quotidiane ci allontanano da loro irreparabilmente.
Che cosa fanno i professori?
A giudicare dai video di YouTube, un po’ di tutto, perlomeno nelle superiori. La scuola pazza ormai è cronaca quotidiana. Ci sono prof schizzati, disperati, arresi, imbottiti di antidepressivi o tranquillanti. Ci sono quelli proprio fusi che imitano John Travolta, ballano, cantano, urlano, si travestono, si svestono o si fanno la canna mentre i ragazzi li riprendono col cellulare (sarebbero proibiti ma intanto, chissà come, ce li hanno sempre in tasca) per poi esporli nel web al ludibrio generale. A volte si tratta di scemenze costruite ad hoc, per esibizionismo; a volte invece è l’unica arma in mano agli studenti per denunciare una situazione tremenda che altri preferiscono ignorare (come appunto fa lo struzzo). Sono sicura che molti insegnanti svolgono egregiamente il loro compito. Sono eroi o martiri, secondo i punti di vista. Sarebbero straordinari in qualsiasi situazione, anche nella peggiore scuola del peggior quartiere periferico. Gli altri, quelli un po’ meno santi e meno vocati di Madre Teresa di Calcutta, purtroppo non ce la fanno… Ne vogliamo prendere atto? Se preferiamo, possiamo pure continuare a negare i problemi, dando la colpa a quelle carogne e sobillatori dei giornalisti.
La scuola però non guarirà da sola, questo è certo, e non basteranno le lettere del ministero. Il tempo delle chiacchiere ormai è finito da un pezzo. Non voglio condannare nessuno. O meglio, qualcuno lo condannerei: chi ha messo in cattedra persone impreparate, chi lascia la scuola in condizioni pietose e i docenti al massacro. Non si può ridurre l’ istruzione a un mercato, anteponendo i propri vantaggi al bene di tutta una generazione e di quelle future. La preparazione dei docenti e il successivo reclutamento devono essere molto accurati. Dimentichiamo la procedura scarna dei vecchi concorsi, con il tema e l’interrogazione in pedagogia; non serve neppure la graduatoria dei precari che premia come al solito i più forniti di punti (leggi i meglio ammanicati) e li manda in cattedra senza selezione. Non è così che si devono assumere i professori. E dopo averli scelti bene, bisogna anche farli lavorare…Bisogna metterli in grado d’insegnare dignitosamente, in un ambiente decente, dove il rispetto delle regole sia la norma e non l’eccezione. Sono scelte che costano, è naturale. E non parliamo sempre e soltanto del costo economico! Quanti soldi vengono sprecati in progetti dai dubbi fini e dai meno chiari risultati, mentre manca il materiale necessario al normale andamento didattico…Perciò credo che la pubblica istruzione non dovrebbe essere amministrata dai partiti al governo, ma da un consiglio indipendente formato da esperti e saggi con un duplice incarico: riformare seriamente la scuola e investire meglio il denaro dei contribuenti.
Considerata l’odierna situazione della politica e della cultura, temo però che nessuno vorrà assumersi responsabilità in campo scolastico. I prossimi governi cercheranno - come i loro predecessori - di applicare qualche palliativo più o meno popolare, senza risolvere i problemi di fondo.
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