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mercoledì 9 luglio 2008

La scuola italiana non è diventata meno autorevole perché alle elementari ci sono più maestri invece di uno. Ha perso dignità per motivi più seri: perché i titoli di studio sono sviliti, ormai valgono pochissimo, non garantiscono un lavoro e neppure l'istruzione. La legge obbliga a frequentare una scuola più o meno identica nei metodi e nei contenuti, anche chi è negato per lo studio e non ha il minimo interesse per la cultura. Certo, non era giusto che i figli dei poveracci andassero a fare i camerieri e i contadini a dieci anni e che solo i borghesi potessero laurearsi. C'era un classismo immorale che andava senz'altro eliminato, ma non lo si doveva sostituire con l'opposto.

Il vero scopo della riforma concepita all'inizio degli anni sessanta doveva essere diffondere maggiormente la cultura promuovendo il progresso del popolo italiano, non regalare a tutti un titolo di studio fasullo per riscuotere facile consenso e tantomeno mandare masse di giovani all'università senza una preparazione valida e senza speranza di potersi poi collocare nel mondo professionale, avendo distrutto dall'altro lato l'artigianato e i mestieri.

Come al solito nel nostro paese le riforme si studiano molto a tavolino, ma dal momento dell'attuazione vengono abbandonate a se stesse, senza più controllo. I risultati li vediamo col tempo. Quando finalmente appare chiaro a tutti che una riforma ha prodotto lo sfascio, invece di fare il mea culpa si accusano gli avversari politici di ostruzionismo, si tira in campo la sfortuna, il popolo che non capisce e via dicendo; nessuno pensa di porvi rimedio in maniera decisa, ma si applicano alcune toppe che quasi sempre peggiorano la situazione.

Governare uno stato è difficile, roba da non dormire la notte; non basta la creatività, ci vuole metodo e testa, serve anche l'umiltà di chiedere a chi è competente in merito opinioni e consigli. Invece cittadini esperti e autorevoli sono stati ignorati dai partiti politici, preoccupati solo di manovrare per ottenere consenso elettorale.

Siamo arrivati alla stagione del raccolto.

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